Gerontologia
Gerontologia
sf. [sec. XX; geronto-+ -logia]. Scienza che ha per oggetto lo studio biologico, le ricerche e l’insegnamento circa i processi dell’invecchiamento, in particolare del mondo animale. La gerontologia si distingue pertanto in tre grandi settori: gerontologiasperimentale, che studia le cause e i fenomeni biologici e psicofisiologici fondamentali nell’invecchiamento; gerontologia clinica, che studia la fisiopatologia e la semeiotica, anche ai fini terapeutici, dell’uomo che invecchia, dell’anziano ammalato e delle malattie della vecchiaia (mentre la geriatria non è solo trattamento medico, ma anche cura globale e integrata che tiene conto di tutti gli elementi che servono a ristabilire l’equilibrio psichico, fisico e ambientale in un ammalato anziano, interessandosi alla prevenzione dell’invalidità e soprattutto al suo recupero); gerontologia sociale, che studia sia l’invecchiamento delle popolazioni, i problemi demografici, economici, politici, sanitari che ne derivano, sia i rapporti dell’anziano con la società e con l’ambiente, cioè tutti i problemi che non interessano l’anziano individualmente ma concernono piuttosto l’intera società. Attualmente si sta sviluppando la gerontologia industriale, una subdisciplina delle scienze sociali applicate che riguarda soprattutto i problemi dell’invecchiamento in relazione al lavoro, al tempo libero e al pensionamento, le ragioni per cui l’età in se stessa può diventare un handicap per il lavoro e gli effetti del lavoro sull’età. È una scienza interdisciplinare che oltre alla sociologia interessa l’economia, la psicologia, la medicina, l’educazione degli adulti, i problemi organizzativi del lavoro.
Medicina: invecchiamento e longevità
Una sola definizione di invecchiamento non esiste in quanto essa dipende dal punto di vista preso in esame. Secondo gli antichi, l’invecchiamento è una perdita progressiva, continua e irreversibile della “forza vitale” che determina la perdita delle capacità di adattamento all’ambiente e, col passare del tempo, una diminuita sopravvivenza o, inversamente, un progressivo aumento della mortalità. Questa progressiva perdita delle capacità di adattamento di un organismo alle normali variazioni di un ambiente naturale non è altro che la somma globale delle modificazioni che si accumulano irreversibilmente in un individuo dal concepimento alla morte in rapporto al tempo. La fase di crescita di un organismo si identifica nel superamento di molte funzioni prima di raggiungere la maturità, mentre la senescenza è considerata il progressivo declino delle funzioni stesse, legato alle alterazioni delle strutture cellulari, subcellulari e molecolari. È, quindi, al termine della crescita che inizia la senescenza, la quale segue la maturità riproduttiva in quanto la selezione naturale opera per perpetuare linee di organismi piuttosto che singoli individui portatori di un determinato genoma. Non tutti gli animali invecchiano come i Mammiferi: nei Protozoi non si assiste, a causa della loro caratteristica riproduzione, a un fenomeno analogo alla senescenza; solo le forme più complesse di organizzazione biologica mostrano un invecchiamento fisiologico con l’aumento dell’età. Forse esiste un motivo finalistico che impedisce la riproduzione di individui già danneggiati dall’ambiente anche nel loro patrimonio genetico; questi ultimi, riproducendosi, trasmetterebbero i danni accumulati che, sommati a quelli successivi, porterebbero alla rapida estinzione individuale. La vita media si è allungata e si è anche accresciuto il numero dei grandi vecchi; questo fatto è dovuto all’aumento della popolazione sulla Terra ed è prevalentemente il risultato dei mezzi di protezione attuati dall’uomo nella società. La vecchiaia non è, quindi, un fenomeno naturale, anzi è contro le leggi naturali; l’uomo, infatti, è il più longevo di tutti i Mammiferi. Si ritiene che la protezione sociale, e familiare in particolare, abbia nel tempo selezionato individui a più lento sviluppo. Il rallentamento dello sviluppo, prima della maturità sessuale, è una delle condizioni più favorevoli alla longevità, prova che è stata raggiunta nei ratti e successivamente in altri animali. McCay riuscì a prolungare di ca. 1/3 la durata di vita dell’animale con un’alimentazione ipocalorica equilibrata, somministrata nella prima parte della vita in modo da ritardare l’epoca di raggiungimento della maturità sessuale, prolungando così il primo periodo di accrescimento. Questo rallentamento dell’orologio biologico, come elemento favorente la longevità, sarebbe anche dimostrato dagli animali ibernati rispetto ad analoghi animali non ibernati e agli stessi in cui si riduca l’ibernazione. Risulta, quindi, che la durata del periodo di sviluppo è in rapporto alla longevità: animali a sviluppo rapido hanno in genere una durata di vita più breve. Approssimativamente si considera la durata dell’intero arco della vita di un individuo pari a circa 5 volte quella del suo sviluppo. Nell’uomo l’età massima raggiunta dimostrata per mezzo dell’anagrafe è di 114 anni; non si possono, infatti ,ancora convalidare con assoluta sicurezza età di 140-150 anni da più Paesi riferite, data l’istituzione recente in essi dell’anagrafe, nonostante che serie prove stiano a dimostrare la veridicità di tali affermazioni nell’Azerbaigian (Caucaso) e nella valle di Vilcabamba (Ecuador).
Medicina: importanza dell’alimentazione
L’inizio dell’invecchiamento biologico nell’uomo si può far coincidere col concepimento; ma dal punto di vista funzionale globale, e non semplicemente di organi e di apparati, esso coincide con l’epoca della fine dell’accrescimento che attualmente sembra essere anticipata (dai 23 ai 18 anni ca.) grazie alla più ricca alimentazione infantile. La nutrizione ha certamente grande rilievo per la longevità, soprattutto durante l’infanzia e la giovinezza; è quindi in questo periodo che si può sperare di poter influire sulla longevità stessa entro i limiti influenzabili dalle condizioni ambientali e non da quelle geneticamente trasmesse. Nelle successive fasi della vita la dieta ha più importanza per la prevenzione e la cura delle malattie del ricambio (diabete, obesità, arteriosclerosi, ecc.) che si manifestano nell’invecchiamento e in gran parte lo condizionano. Anche se si è detto che il processo di sviluppo e di invecchiamento è l’espressione di quei cambiamenti che avvengono col passare del tempo, tale processo va visto in diverse prospettive, nei diversi momenti della vita. Diverso è il peso delle modificazioni dei primi 25 anni rispetto agli ultimi; il processo di sviluppo, anche se continuo, appare spesso nell’uomo come improvviso. Si possono avere delle crisi o veri e propri periodi di graduale involuzione. Il climaterio è una di queste fasi. L’invecchiamento può essere una perdita di riserva funzionale in un individuo, con uno scompenso improvviso che, perfettamente contenuto in giovane età, può creare nell’età avanzata un grave squilibrio o anche sfociare in una malattia. Per esempio, l’alimentazione eccessiva può facilitare l’obesità nella giovinezza e il diabete nella vecchiaia; uno stress emotivo fa aumentare l’aggressività e la pressione arteriosa nel giovane e può determinare un infarto cardiaco o cerebrale nell’anziano; una giornata fredda o umida può far insorgere un semplice raffreddore in un adulto e una broncopolmonite in un vecchio; una brusca fermata dell’autobus può provocare solo uno spostamento in un giovane ma una caduta con frattura in un vecchio. Tutti questi esempi dimostrano come, con l’aumentare dell’età, si accresce la vulnerabilità, diminuiscono le resistenze, aumentano la morbilità e la mortalità per tutte le cause di malattia. Quindi è solo modificando l’età biologica, ritardandola o, come credono alcuni, ringiovanendo biologicamente un individuo, che si può sperare di ridurre la comparsa di tutte quelle malattie che oggi si manifestano a una determinata età, più o meno precocemente o tardivamente. La senescenza non è soltanto un semplice processo di modificazioni funzionali collegate all’età. Se così fosse, le funzioni biologiche di un gruppo di individui di 70 anni sarebbero tutte le stesse. l’invecchiamento, invece, si svolge per lo più in maniera diversa nei diversi soggetti ed è particolare per ogni individuo, anche se le alterazioni fondamentali sono simili. Esso si presenta diverso anche nei differenti organi, in maniera asincrona. Il timo, per esempio, che serve alla formazione di cellule della difesa immunitaria, si atrofizza nella prima giovinezza; nell’occhio si riduce la capacità di accomodamento del cristallino fin dalla nascita e a 50 anni raggiunge il livello minimo; la forma muscolare ha il suo massimo, per certi muscoli, tra i 20 e i 30 anni; i muscoli del dorso, se allenati, possono mantenere il grado massimo anche fino a 40 anni, il bicipite fino a 50. Tutto ciò non implica i fattori di resistenza e di durata che coinvolgono altri sistemi (apparati cardiocircolatorio e respiratorio) in cui l’inizio dell’invecchiamento avviene più precocemente.
Medicina: alterazioni dovute all’invecchiamento
Le fondamentali modificazioni che avvengono durante l’invecchiamento sono: alterazioni morfologiche delle cellule, dei tessuti e degli organi; rallentamento delle funzioni biologiche; alterazione delle funzioni dei vari sistemi dell’organismo; diminuzione dell’energia di riserva (i vecchi, infatti, rispondono allo stress in modo meno efficiente); inoltre il sistema omeostatico nell’anziano mostra due alterazioni caratteristiche, come una più lenta risposta nel ritorno alla norma e una diminuita capacità di riserva. La suscettibilità alle malattie è la conseguenza, appunto, di questa riduzione delle riserve fisiologiche. Sempre dal punto di vista biologico, le cause dell’invecchiamento sono molteplici e possono agire secondo modelli diversi. La più conosciuta è la perdita di cellule con l’invecchiamento. Molte cellule si riproducono, ma altre, specializzate o perenni (cellule nervose), non si riproducono; così l’invecchiamento si manifesta più facilmente negli organi che contengono cellule stabili (in particolare cervello e muscoli striati). La perdita di queste cellule può essere dovuta a semplice degenerazione o piuttosto a fattori genetici o a difficoltà che intervengono nella capacità delle cellule di eseguire il programma funzionale che è inserito nel codice genetico. Altri sostengono che l’organismo non riconosce più le sue cellule perché nel tempo sono mutate e le elimina pian piano con un meccanismo analogo a quello del rigetto di un organo trapiantato. Qualora ciò non si verifichi, non si avrebbe solo una riduzione di funzione, ma anche l’accumulo di cellule diverse che potrebbero indurre reazioni autoimmunitarie capaci di far invecchiare rapidamente o di far insorgere vere e proprie malattie: teorie immunologiche dell’invecchiamento e di molte malattie dell’invecchiamento (artrite reumatoide, disfunzioni tiroidee, alterazioni gastriche, neurologiche e muscolari, demenza senile, arteriosclerosi, diabete, ecc.) che potrebbero spiegare anche l’andamento a crisi della vecchiaia. Anche i tumori, così frequenti nell’invecchiamento, potrebbero essere spiegati con questo meccanismo. Il cambiamento della funzione cellulare, che precede la morte della cellula e che è dovuto a una perdita di energia nella cellula stessa, può essere indotto da modificazioni della struttura proteica del nucleo cellulare (cross linking), da accumulo di mutazioni genetiche conseguente all’azione di radicali liberi (sostanze chimiche tossiche che si producono anche naturalmente nei processi nutritivi e metabolici delle cellule o che sono indotte da radiazioni o da mancata eliminazione di prodotti catabolici). Un’altra teoria è quella dell’accumulo di errori nella sintesi proteica; il che significa, in ultima analisi, disturbi dell’attività enzimatica delle cellule e quindi del loro metabolismo. Il danno enzimatico porta alla formazione di una proteina difettosa che inizia un circolo vizioso con difetti vari che portano fatalmente alla disfunzione e alla morte cellulare. Anche il tessuto connettivo, che è fatto di fibre oltre che di cellule, invecchia. L’invecchiamento di questo tessuto è quello che più di ogni altro caratterizza la vecchiaia di organi e di apparati. Basta mangiare la carne di un animale giovane o vecchio per capire che la differenza è dovuta alla struttura differente del connettivo.
Sociologia: statistiche
Nelle cosiddette società industriali avanzate l’effetto congiunto della diminuita mortalità e della rallentata natalità produce un considerevole aumento della popolazione anziana, sia in termini assoluti, sia – soprattutto – in percentuale sul totale della popolazione. In Italia i cittadini di età superiore ai 60 anni pareggeranno sostanzialmente – secondo le stime demografiche al 2001 – il numero di quelli di età inferiore ai 20 anni. Nel 1981 questi ultimi rappresentavano ancora il 31,6% del totale, contro il 16,8% degli anziani, mentre nel 1861 la quota dei giovani era di sette volte superiore a quella degli anziani. In poco più di un secolo, del resto, la natalità, che faceva registrare un incremento annuo di quasi 40 nati per mille abitanti, è scesa attorno ai 10 (9,4‰ nel 2000), mentre la mortalità per mille abitanti è passata da un valore di 30,3 del 1862 al 9,7 del 2000. E se, nel 1912, appena 491 italiani su mille superavano i 60 anni, questo valore sfiora oggi il valore di 900. Inoltre, la maggiore longevità media della popolazione femminile (nel 2000 l’aspettativa di vita era di 82 anni per le donne e di 76 anni per gli uomini) determina con l’invecchiamento complessivo della comunità un crescente squilibrio nella composizione per sesso. Diversi e complessi gli effetti sociali registrati e quelli prevedibili a breve e media scadenza. Si affaccia, per esempio, l’esigenza di una radicale conversione del tipo e della qualità delle prestazioni sanitarie, che si rivolgono sempre più a una fascia di popolazione spesso affetta da problemi cronici e in condizioni economiche non favorevoli. Si profila una drammatica crisi del sistema pensionistico e previdenziale, in presenza di una massiccia crescita degli assistiti non produttivi e di una contrazione simmetrica dei lavoratori in attività. Persino nel settore abitativo, le trasformazioni demografiche della famiglia e il numero crescente degli anziani soli (in larga maggioranza donne) pongono domande ancora scarsamente soddisfatte. Si sviluppa, parallelamente, un mercato dei servizi diretto alla popolazione anziana – in campo sanitario, assicurativo, assistenziale e anche di gestione del tempo libero e dell’informazione – che, pur proponendosi di elevare la qualità della condizione anziana, rischia di produrre nuove e penose discriminazioni fra condizioni sociali assai diversificate. Ancora, il livello generale di educazione è andato aumentando gradatamente solo nella seconda metà del Novecento, per cui le persone oltre i 60 anni hanno per lo più una modesta istruzione. Si calcola infatti che in Italia l’86,6% della popolazione ultrasessantenne sia senza titolo di studio o con licenza elementare, il 7,7% con licenza di scuola media inferiore, il 4% con licenza di scuola media superiore e l’1,7% con laurea. Fino a oggi il 90% delle persone oltre i 60 anni in Italia vive nelle proprie abitazioni o con i figli, l’1% negli istituti di ricovero, il 9% in abitazioni varie. Il 60% di coloro che vivono in istituti ha una invalidità cronica; di quelli che non vivono in “cronicari” il 20% è sano, il 50% ha qualche malattia senza invalidità, il 30% ha problemi di salute che minano l’attività quotidiana. Per quel che riguarda il tasso di attività oltre i 60 anni, circa il 19,1% degli uomini e il 5,3% delle donne lavorano ancora, oltre i 71 anni, il 6,8% degli uomini e il 2,3% delle donne risultano essere ancora produttivi con impiego prevalente nel settore dell’agricoltura. Tutti questi dati concorrono a dare un’idea della irriducibile complessità dei problemi di ordine sociale connessi con l’invecchiamento.
Sociologia: il mutato ruolo dell’anziano
La vecchiaia, che in passato rappresentava il perno del gruppo sociale, depositaria di valori culturali trasmissibili di generazione in generazione, diventa oggi rinvio, spazio vuoto prima della morte, sanzione di inutilità sociale, poiché in base alla logica del profitto, che regola, pervade e struttura la nostra società, l’individuo ha poca importanza come persona nella sua complessità di bisogni e di aspettative, ma deve il suo significato unicamente al proprio ruolo di procacciatore di reddito. Ecco allora che l’anziano, escluso dal processo produttivo, perde di significato, viene identificato come il non valido, e quindi invalido, come il non abile, e quindi inabile, come marginale, quindi emarginato. Sia la geriatria sia la gerontologia sociale non possono pertanto ignorare il meccanismo alienante della società attuale e l’emarginazione che essa produce nei vecchi come in tutti coloro i quali, non essendo produttivi, sfuggono alla sua logica, alla sua norma e vengono pertanto socialmente distrutti. Nell’uomo anziano prevalgono modificazioni degenerative di tessuti e di organi e alterazioni funzionali che non sono ancora malattia fino a che egli trova il modo di compensarle con una energia fisica e psichica sollecitata, favorita dagli interessi, dalle motivazioni, dalla speranza di un futuro positivo. Ecco allora l’importanza di un ambiente, di una cultura che permetta ancora all’anziano di potersi esprimere, di poter comunicare, di avere ancora un proprio ruolo e di poterlo svolgere in piena autonomia. Il progressivo impoverimento del vecchio, sia in senso economico sia nelle capacità psichiche e fisiche, gli fa perdere ogni valore nella comunità familiare e sociale. Legittimando questa situazione la nostra cultura crea e mantiene un’attitudine negativa nei confronti dell’invecchiamento, alimenta stereotipi che vengono poi accolti dai giovani, i quali quindi pensano alla vecchiaia in modo negativo. Queste attitudini sono così radicate che quando gli stessi giovani divengono anziani tendono a pensare di se stessi secondo la stessa scala di valori che hanno applicato in passato alle persone anziane. Ecco allora che le alterazioni degenerative, i mutamenti biologici del tutto fisiologici nella vecchiaia sono pian piano considerati dal vecchio stesso come uno stato di malattia vera e propria, assunto a giustificazione della propria invalidità e sofferenza. Invece di reagire e compensare il progressivo decadimento, egli lo accetta passivamente, abbandonandosi alle cure, all’assistenza degli altri. Da qui derivano tutte le conseguenze negative che rendono facilmente un individuo invalido permanente o cronico, tenendo conto anche della reale presenza, più o meno latente, di varie malattie associate tra loro. È accaduto che nella persona anziana venisse posta diagnosi di una malattia in assenza di disturbi soggettivi, in seguito a un semplice controllo, proprio perché i disturbi vengono avvertiti più facilmente quando l’individuo, disinserito dalle normali attività e ritmi della vita sociale, privato di motivazioni e di ruoli, non trova più la forza di compensarli o di sopportarli, e quando ancora l’interesse che solitamente viene riservato all’ambiente circostante viene deviato su se stessi e il proprio corpo. L’anziano diventa così facile preda dell’idea negativa delle sue condizioni, iniziando il circolo vizioso della malattia che, associata agli altri fattori di ordine psichico, economico, familiare, porta progressivamente a un disimpegno, a una passività e dipendenza che diventano successivamente solitudine, alienazione, ospedalizzazione, cronicizzazione, emarginazione. Con le stesse condizioni di salute un individuo può rimanere perfettamente attivo e nel pieno possesso di tutte le sue capacità, integrato nella comunità, oppure, esattamente al contrario, del tutto invalido nella più completa immobilità di un letto di ospedale.
Sociologia: scopi della gerontologia sociale
Di qui si possono facilmente comprendere i principi e gli scopi della geriatria e della gerontologia sociale, discipline attualmente del tutto complementari e tese allo stesso obiettivo: la prevenzione, la cura di tutte le cause favorenti l’invalidità, il cronicismo, l’istituzionalizzazione, la segregazione, tutto quello cioè che isola il vecchio e lo porta a vivere, invece di una terza età positiva, una sofferta e inutile vecchiaia. L’obiettivo sopra citato potrà essere realizzato quando l’istituzione di una rete di servizi efficaci (consultori geriatrici, ospedali diurni, ospedalizzazione a domicilio, servizi domiciliari, case-albergo, appartamenti protetti, reparti di terapia intensiva in grado di intervenire rapidamente in ogni forma di emergenza medico-chirurgica, istituti di riabilitazione, nonché attività di animazione, ecc.) verrà a integrare adeguatamente l’appoggio del gruppo familiare, del quartiere, della comunità, al fine di promuovere non solo una condizione sociale più degna per l’anziano, ma la rifondazione di una immagine culturale positiva della vecchiaia. A questo punto può essere importante ricordare i principi generali con cui un individuo anziano può mantenere la propria validità, nonostante l’età. La vecchiaia si prepara fin dalla giovinezza con una dieta equilibrata, povera soprattutto di grassi animali, cercando di mantenere il peso al di sotto dei valori stabiliti dalle tabelle ufficiali, praticando sport e attività adatte (marcia, corsa, bicicletta, sci di fondo, golf, giardinaggio, orticoltura), impegnandosi nei piccoli sforzi della vita quotidiana, favorendo la presenza di interessi e di stimoli e dando la possibilità a ognuno di svolgere attività che ne sviluppino le potenziali capacità creative e intellettuali, in modo che conservi nel tempo l’attitudine trasformazionale nei confronti della realtà. Bisogna, insomma, permettere che ognuno possa scegliere il proprio modo di vivere da anziani, piuttosto che subirlo, cioè capire l’invecchiamento. Occorre che l’anziano impari a lottare insieme ai giovani, a vivere con questi, ad allargare la vita familiare, a mantenere e approfondire i rapporti con il vicinato e intenda i servizi assistenziali come unità funzionali che possono fornire solo un aiuto tecnico, ma che non possono sostituire integralmente i rapporti familiari e sociali in genere. Questo discorso generale sull’invecchiamento e sul modo migliore per invecchiare non è solo una riflessione teorica, ma anche il frutto di un’attenta analisi ed esperienza dei tentativi fino a oggi compiuti nelle società tecnologicamente più avanzate, dove si è cercato con una pluralità di servizi di sostituire quello che l’uomo oggi ha perduto di più nell’invecchiamento: il suo significato.